

Venerdì 26 settembre, ore 16:00, presso la Biblioteca Gallaratese
Di Carlo Porta
Traduzione di Patrizia Valduga
Con Mario Sala
Regia di Lorenzo Loris
Musiche originali degli Allievi del “Corso di Musica per l’immagine” della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado: Andrea Bevilacqua, Matej Sancin, Fabrizio Zirilli
Produzione Teatro Out Off
Con il sostegno di NEXT – Laboratorio delle idee per la produzione e la programmazione dello spettacolo lombardo – Edizione 2024/2025
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Él lamént del Marchiòn d’ì gàmb avèrt (Lamento di Melchiorre dalle gambe sbilenche) di Carlo Porta è uno dei massimi capolavori di poesia in dialetto milanese e tra le opere più significative dell’illustre autore meneghino. Il testo dello spettacolo, con la regia di Lorenzo Loris e l’intensa interpretazione di Mario Sala, fonde ai versi originali del Porta, nel 250° anniversario dalla nascita, la bellissima traduzione in poesia italiana di Patrizia Valduga che per l’occasione crea quasi una “nuova lingua” che risuona in modo strabiliante di tutte le sonorità e i fonemi del dialetto milanese. Lo spettacolo restituisce con espressività personaggi popolari e di umile condizione insieme a un affresco vivido della Milano del primo Ottocento, in fervente trasformazione.
Il Lament del Marchionn di gamb avert, del 1816, è il poemetto più corposo scritto da Porta: è infatti composto da oltre mille versi. La storia racconta di un povero ciabattino, il Marchionn, suonatore di mandolino per passione, dalle gambe storte. Le sue disgrazie iniziano quando incontra la prorompente Tetton, in una notte di carnevale. Crudele e spregiudicata, questa maliarda plebea lo trascina insieme su e giù fra sale da ballo, osterie, case di ringhiera. L’ingenuo Marchionn dal matrimonio esce malconcio: tradito, umiliato, abbandonato con un bimbo non suo da accudire. A salvarlo dalla disperazione è il suo grandissimo cuore.
Nel testo vengono dipinte scene di una Milano affollata di personaggi che sembravano essere sepolti nel nostro animo più profondo e che l’umorismo, la pietà e l’amore del Porta per la sua “gente” ci riportano alla coscienza. “Porta dà voce e dignità letteraria a una classe popolare, “povera”; in quelle figure popolari si possono riconoscere tanti poveri di oggi, dilaniati dall’abbandono, dalla solitudine, dalla miseria. C’è, nel protagonista, la necessità di rendere partecipi gli altri del proprio destino, del proprio abbandono, cercando una consolazione nel condividere la propria pena. È un grido d’aiuto quello che si nasconde dietro l’ironia e la sagace vivacità delle descrizioni poetiche..” Lorenzo Loris, regista
Durata spettacolo: 45 minuti.
Estratti rassegna stampa
Il regista nel contesto drammaturgico ha inserito anche versi endecasillabi nell’originale milanese, creando una sorta di liaison semantico-linguistica tra la società dell’epoca e il presente. […] Le loro figure hanno ispirato Giovanni Testori e Carlo Emilio Gadda rispettivamente alla creazione dei personaggi di Gilda e Adalgisa, peraltro oggetto di altrettanti spettacoli portati nel passato in scena all’Out Off con gli stessi interpreti e regista, in un fil rouge tra il periodo di Carlo Porta, sostanzialmente fine settecentesco e asburgico, e le discriminazioni sociali sorte nella moderna Milano industriale. Tutto l’impianto teatrale di Loris, incluse le musiche create dagli allievi del “Corso di Musica per l’immagine” della Civica Scuola di Musica, realtà del secondo Ottocento oggi dedicata a Claudio Abbado, come l’allestimento scenografico e gli interventi pittorici, sono frutto di una ricerca sull’identità di una città che attraverso le vicende dei più umili, da Carlo Porta a Jannacci, ha di certo creato un suo genius loci artistico e sociale. Un plauso agli straordinari attori per la loro interpretazione e al lavoro di Loris, teso a restituire e non far dimenticare una dignità poetica e narrativa di una metropoli troppo spesso fuorviata nel presente da modelli e paradigmi che non le appartengono. Claudio Elli, Punto e Linea Magazine
Melchiorre è un ciabattino che suona il mandolino nelle balere. Una sera conosce la “Tettona” e rimane completamente soggiogato dalla sua bellezza. L’avvicina, le parla e dopo il ballo l’accompagnerà a casa, entrambi seguiti dalla madre di lei a sua volta accompagnata da un altro uomo. Più tardi la sposerà e diventerà anche padre ma forse il nascituro non è suo. È un ingenuo, Melchiorre, che, offuscato dalla passione per la donna, fatica a comprenderne il carattere volubile. Ne scoprirà pian piano, e più tardi, la dissolutezza quando ormai sarà completamente ridotto a una schiavitù sentimentale da cui sarà impossibile liberarsi. Ora si muove in scena portando a tracolla la cassetta con gli attrezzi nella quale primeggia una scarpa da donna che lui tratta come una reliquia. Racconta la sua storia dolorosa al pubblico di cui chiede solidarietà, si lamenta per la sua cattiva sorte, descrive le umiliazioni subìte, impreca contro la donna che definisce “suprema truffatrice”. A interpretare il personaggio è un intenso Mario Sala, gli occhi spalancati che riflettono il grande dolore dell’uomo che si scopre tradito ma che, tuttavia, non trova la forza della rassegnazione. […] L’attenta traduzione di Patrizia Valduga rende più fruibili le due vicende ai meno conoscitori del dialetto milanese e tuttavia non mancano diversi momenti in cui si è fatto ricorso a frasi dialettali, spesso le più colorite, per rendere meglio l’atmosfera creata dai versi di Carlo Porta. La resa in italiano, inoltre, avvicina l’argomento dei due poemi quali l’emarginazione e il sopruso ai nostri tempi. Carlo Tomeo
Loris li mette in scena nella traduzione in rima italiana di Patrizia Valduga, integrata con alcuni (molti) versi originali in dialetto milanese. Si può dire che l’italiano chiosa e affianca il dialetto meneghino, lingua madre dei due protagonisti, talmente diversi tra loro da essere speculari. Un ottimo Mario Sala interpreta un sempliciotto, un allocco che si fa menare per il naso dalla donna per cui ha perso la testa, la Tettona (ma anche menare di botte dai suoi tanti amanti). È un inguaribile ingenuo che non si dà mai per vinto, anche contro l’evidenza dei tradimenti di lei. È talmente malmesso da indossare le scarpe nel piede sbagliato. Ma in fondo in fondo è una pasta d’uomo in cerca di una persona meritevole del suo amore. Nella ricerca combatte contro la “vampa de calùr”, mentre gliene capitano di ogni e lui ce le racconta, senza vergogna, continuando a muovere le mani su e giù per il suo grembiule da ciabattino. […] Naturalmente il merito più grande è dei due interpreti Sala e Callegari, oltre che del Porta, un autore da riscoprire, se non proprio da scoprire! Saul Stucchi, Alibionline
Come un giocoliere, il poeta tiene in equilibrio questi elementi regalando alle vicende raccontate, anzi drammatizzate, una luce emotiva continuamente cangiante, in grado di catturare fatalmente l’ascoltatore, portandolo ad attraversare questa iride cromatica di stati d’animo; se ne rimane coinvolti, letteralmente mesmerizzati.
Tutto questo lo sa bene Lorenzo Loris, che, per continuare il suo percorso nella letteratura milanese, dopo Testori e Gadda, doveva affrontare il grande poeta milanese, come Ettore con Achille di fronte alle porte Scee. La lingua materica, unica, essa stessa personaggio, eruzione lavica, magma incandescente che cola nelle orecchie, vive una trasfigurazione attraverso la traduzione della poetessa Valduga, lasciandosi però contaminare dai versi originali. Si parte col Marchionn, un piccolo grande uomo che si candida immediatamente a costruire, sin dai primi fonemi, un serrato dialogo con la platea. Ancora bagnato della placenta dostoevskijana del sogno dell’uomo ridicolo, principe Myskin in trasferta milanese, è un buono irresistibilmente ingenuo, nato senza il sistema immunitario della malizia, e della nera scaltrezza. Ci voleva il rauco “cri de guerre” di Mario Sala per incarnare al meglio questo personaggio. I suoi occhi liquidi, spalancati, sono una laringe ulteriore, in grado di parlare meravigliosamente la lingua dell’interiorità e dell’anima. Vittima sacrificale, agnello pronto sull’ara, è un Isacco capace di rendersi conto che, stavolta, non ci sarà una mano divina a fermarne lo scempio. È l’espressione dell’assoluto di bontà, che cortocircuita nel mondo della moralità di comodo, strumento e non fine.
Mangia risotto giallo e beve vino, questo Candido che volta la schiena a Voltaire, e tiene coraggiosamente la frontalità con il pubblico. E, quando chiama alla compassione la platea, lo fa in punta di fonema, quasi per paura che le sue parole possano far male involontariamente. […] Finalmente un personaggio del popolo parla la sua lingua, e non quella artificiale, artificiosa, dello scrittore. Come se il Porta e, insieme, Loris avessero applicato, seguendo una metafora cinematografica, una presa diretta del suono, delle battute dei personaggi, rinunciando alla ricostruzione del doppiaggio. Ama certamente, il regista (e lo dimostra anche in questa occasione), sfogliare la cipolla peergyntiana degli stati d’animo. Vuole che, prima di uscire di scena, ogni personaggio versi tutta la propria dialettica emotiva sugli spettatori. Danilo Caravà, Milano Teatri
Merito dunque all’Out Off di aver riscoperto questa “bellezza” antica, ma ancora potentemente comunicativa, del Porta con El Marchionn e La Ninetta: Carlo Porta nel mondo degli ultimi, un dittico diretto da Lorenzo Loris, artefice di questa operazione, che abbina due celebri storie, “Il lament del Marchionn di gamb avert” del 1816, sulle tristi vicende amorose del povero Marchionn, ciabattino viandante che perde la testa per la Tetton, e crede di poter fare con lei una famiglia, ma l’epilogo sarà ben diverso. […] Due vividi ritratti di vita e sentimenti popolari, che si seguono con piacere, nella descrizione di quella Milano d’antan, negli stati d’animo così concreti. Occasione soprattutto di ascoltare una lingua colorita, corrosiva, espressiva perfino nel turpiloquio, come è il dialetto “poetico” de Porta. E si rivela legittima la scelta del regista di ibridare l’originale con la bella, vivace traduzione in italiano di Patrizia Valduga che non ne tradisce la forza prorompente. E in questo un plauso va ai due interpreti, Mario Sala e Elena Callegari, attori storici dell’Out Off, qui accompagnati da Tommaso Di Pietro nel ruolo di comparsa, immedesimati con verità nelle vesti dei due poveracci “fregati” dall’amore e dal desiderio, ma anche abilmente disinvolti col dialetto e la vivacità espressiva della lingua del Porta. Anna Bandettini, la Repubblica
Lavoro unico per la bravura degli interpreti e sofisticatezza dei dettagli, nonché per l’immediatezza con cui riesce a portare il pubblico dentro quella Milano nebbiosa, povera e ricca di speranze degli anni Cinquanta. […] Da sottolineare anzitutto il delicato ed encomiabile lavoro di Patrizia Valduga, che ha tradotto dal dialetto milanese i versi in scena di entrambe le opere per renderli comprensibili (pochi parlano oggi dialetto), ma lasciando intatta la vena pulsante della lingua d’origine. E poi si rileva la bravura di Mario Sala, che apre lo spettacolo con la prima delle opere in versi del Porta, Lamento di Melchiorre dalle gambe sbilenche: dietro a quell’aria sempre umile, che lo porta a lavorare spesso su ruoli da “ultimo”, come in questo caso, si nasconde un laureato in lettere all’Università di Pavia e diplomato presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica Piccolo Teatro di Milano. Non che la mole dei libri studiati determini la capacità di un attore necessariamente, ma Sala ha anche insegnato Linguistica presso l’Università di Genova, e questo porta a capire più a fondo la sua piena padronanza di una lingua complessa come il dialetto. Entra nel testo, estrapola ogni parola e nell’enunciarla ne esprime tutta la sua storia e origine. E allora il Marchionne, lui, ciabattino viandante, è davvero coinvolgente quando racconta il suo amore per la Tettona: nella nebbiolina di Milano si incontrano le sere nella balera in cui lui suona il mandolino, tornano a casa insieme (con la madre dietro a braccetto con un altro uomo), e piano piano arrivano al matrimonio e alla nascita del primo neonato. Con un finale amaro, disincantato e cinico quanto disperato. Marta Calcagno Baldini, Milanoateatro
Nei suoi componimenti si trova ancora oggi l’essenza di quello che sono, in generale, i milanesi: persone che mettono il cuore davanti all’ostacolo, con coraggio e attenzione. La lingua è protagonista, ma tutto il lavoro è di qualità artistica. Marta Calcagno Baldini, Il Giornale
Le poesie prendono corpo e vita tra le mani di questi attori. Non sono solo monologhi, ma riescono a ricostruire atmosfere, ambienti e storie di una Milano lontana ma mai dimenticata. E l’operazione riesce con maggiore efficacia se accanto alle parole del grande poeta milanese si affianca il contributo di una poetessa di oggi, Patrizia Valduga, attenta anche agli aspetti più carnali ed erotici del rapporto tra uomo e donna, che integra e vivacizza ancor di più i suoi versi. Uno dei critici più noti, Momigliano, inserendo Carlo Porta nel realismo e nel naturalismo letterario, si sofferma specialmente sulla capacità del poeta di ricostruire l’atmosfera dei bassifondi milanesi: “nessuno che abbia dato con così pochi tocchi, raccontando senza descrivere, la sensazione di quella vita in cui miseria, vizio e sporcizia sono una sola cosa” C’è forse in questa descrizione un atteggiamento classista che non coglie in pieno lo spirito del poeta meneghino. Ricordiamo che il Porta, che tra l’altro fu impiegato alle Finanze, aveva contatto quotidiano con la gente umile, preoccupata di riuscire ad arrivare a fine mese, di sopravvivere, e lui era capace di comprendere le loro miserie al punto di essere consapevole delle ingiustizie che stavano subendo da parte delle classi più abbienti, i politici, il clero, sempre in difesa dei loro privilegi.Una consapevolezza che spesso sembra venire a mancare, anche oggi, di fronte alla crescente povertà delle classi più povere, da parte di chi avrebbe il compito e, soprattutto, il dovere di assumersene la responsabilità. Certamente, gli uomini e le donne, al di là dei problemi contingenti di carattere economico, vivono la loro vita. Soffrono per amori sbagliati come il Melchiorre, circuito da una donna disonesta […] E il Porta ne ricostruisce quasi con affetto le loro parabole non senza ironia, arguzia e partecipazione. Ugo Perugini, Il Mirino